4. Espressioni

Le anime dei luoghi

I luoghi s’impregnano dello spirito delle persone che li frequentano. Un ospedale, per esempio, tende ad essere grigio, malato, freddo, ad esclusione dei reparti pediatrici dove disegni e colori smorzano dolore e tensioni. Le banche son tese, finte e artefatte, sempre convinte di sentire puzza di bruciato. Gli autobus, dipende: scassati e sporchi, oppure lindi, ben tenuti, illuminati di neon che ti fanno venire il mal di testa in tempo record.

Foto: JasonParis

Stazione Centrale- Foto: JasonParis

E le stazioni? Quelle sono decisamente migranti. Multiculturali. Piene di vita a tutte le ore. Piene di silente esibizionismo. I luoghi dove succede sempre qualcosa, anche quando apparentemente non succede nulla. I luoghi che accolgono chiunque, dove chiunque si sente legittimato ad essere, senza doverne avere una giustificazione particolare. I luoghi del (non) essere. Anch’esse recipienti delle anime che vi abitano: anime di mille colori, letteralmente. Non solo bianca, nera, rossa o gialla, bensì con tutte le sfumature e tutte le combinazioni del caso. Perché le anime non sono mai solo bianche, né mai solo gialle, né mai solo nere, né mai solo rosse. Non sono mai solo qualcosa, ma sempre anche qualcos’altro, impostato, imposto, acquisito, preso a prestito che sia. Siamo anime migranti sempre in cerca di qualcuno o qualcosa, forse persino qualcuno su cui puntare il dito o qualche capro espiatorio o qualche uomo o donna, qualche rogna o soluzione… Nel mare delle anime che fluttuano sulle stazioni si agitano le storie a non finire. Ognuna porta da qualche parte, mentre nessuna, in realtà si ferma. Sono vive, le stazioni. Talvolta pure sporche, ma almeno vive. Ci sono dei contrasti impressionanti tra le realtà che vi si trovano. C’è la miseria più spietata e il nauseante luccichio del lusso più sfrontato. Ci sono delle bellone che sorridono dai cartelloni pubblicitari, che cercano di convincerci che la felicità sia là da qualche parte, ben lontano da quella che è la vita che ci è consentito di toccare con mano. Ci sono poi delle bellezze esotiche in carne e ossa che rincorrono dei sogni che credono siano quelli giusti, ma in realtà sono perennemente frustati perché i sogni li hanno abbandonati da qualche parte a casa loro, lontanissimo da dove li stanno cercando. Ci sono gli autoctoni, che si sentono forse più legittimati a percorrere gli spazi di quelle stazioni, e spesso pure infastiditi poiché quegli spazi ormai sono invasi da qualcun altro che, guarda caso, ha la pretesa di rincorrere la stessa cosa: stesso posto di lavoro, stesso luogo dove mangiare, stesso pezzo di pane, o di pizza, o di donna. Le anime si intrecciano lì, nelle stazioni, si innescano lì, nelle stazioni, si incontrano lì, nelle stazioni, senza neanche doversi per forza fermare le une dinnanzi alle altre. Magari contatti veri e proprio non avvengono nemmeno, eppure con il solo passaggio si assaggiano delle realtà diverse, si aprono delle finestre dei nostri mondi ristretti, con visioni ristrette e panorami sempre uguali. Talmente belli e talmente sempre uguali che finiscono per essere scontati.

Bologna Centrale con neve

Bologna Centrale con neve

E se potessimo essere un treno? Fare un viaggio, magari pure prestabilito, non necessariamente alla cieca se questo non è possibile, ma un viaggio con un mondo di nuvole colorate e diverse da trasportare. Sarebbe bello che ognuna di essere raccontasse la sua storia. Sarebbe bello che questo treno arrivasse a destinazione pregno di colori e leggero come una farfalla. Non abbuffato, non sbuffante, non appesantito né stanco. Una farfalla che vola leggera coi suoi mille colori cangianti. È solo un abbozzo di una fiaba, una bizzarra fantasia. Non si vive per diventare farfalle, nessuno ce lo ha insegnato. Siamo piuttosto dei bruchi che rimangono tali oltre misura, perché nessuno ci ha insegnato ad aprirci e a prendere il volo al momento giusto. Talvolta voliamo, nelle stazioni, ma poi torniamo nelle realtà e i colori svaniscono. E non sempre questi colori sono belli. Talvolta sono mischiati al sangue, alle macchie di sudore, sporco, fatica, segreti che nessuno vuole sapere e nessuno vuole raccontare. Qualcuno è nato nella miseria, qualcun altro nella miseria ci morirà. Il passaggio attraverso la stazione è solo una tappa obbligatoria e talvolta per nulla allettante. Qualcuno nasconde il viso. Qualcuno nasconde la verità. Qualcuno i treni li odia. Qualcuno prega mentre viaggia. Qualcuno mentre sta viaggiando sta morendo. E di nuovo, qualcuno, molti, se ne fregano. Perché dovrebbero? Quanto tempo hanno, a disposizione, per se stesso e per gli altri? Il tempo va amministrato. Anch’esso vola, come le farfalle, sebbene le sue ali siano molto più grevi e grigie.

Ci sarà sempre un aura di mistero, nelle stazioni. Il suo spirito è incatturabile. A momenti potrà apparire che basti una retina, una di quelle leggere con le quali si pigliano le farfalle. Invece no! Nessuno cattura lo spirito di una stazione, come nessuno cattura il profumo di una rosa. Tutto ciò che cerca di riproporre spacciandolo per il profumo di rosa è solo un fantasma di esso. La stazione ci offre assaggi del suo spirito, ci permette di mimetizzarci, di diventare camaleonti per un attimo, due, tre, quanto vogliamo. E poi ci allontana, ci respinge. Ci dice basta. Certi misteri son imperscrutabili. Ed è pure giusto che sia così.

Stazione di Manarola al tramonto. Foto: Luca Volpi

Stazione di Manarola al tramonto. Foto: Luca Volpi

La stazione può essere la metafora della vita. E noi siamo i viaggiatori. In tutti i sensi. Voliamo. Strisciamo. Passiamo inosservati. Facciamo chiasso. Lasciamo tracce e le cancelliamo. Bianchi. Neri. Gialli. Rossi. Passeggeri dello stesso treno. Degli stessi treni. Ci incontreremo. Prima o poi. Tutti. In stazione. Nella vita. Nel pensiero. Nella parola di qualcuno. Per qualcuno. Da qualcuno. Forse è dovuto almeno tentare di volare.

5 thoughts on “Le anime dei luoghi

  1. ipersensibile come sempre nel cogliere sentimenti sovrapposti e incalzanti. la stazione come metafora della vita (o delle vite che si sfiorano) mi e’ piaciuta, anche se non del tutto originale… (ma cosa e’ originale oggi se non la v nostra personale esistenza? ciao. alla prossima.

  2. ciao Duska,
    grazie! Mi è piaciuto molto il tuo scritto sulle stazioni come metafora della vita di ognuno di noi….Tanto più che, fin da quando ero giovane, mi sarebbe piaciuto abitare in un appartamento a ridosso di una grande stazione che avrei potuto “osservare” dal mio terrazzo. E’ stato e lo è ancora il desiderio del mio animo nomade: del resto siamo tutti in qualche misura migranti o no? Brava! Un abbraccio Clementina

  3. Mi piace lo sguardo acuto e penetrante con cui osservi e racconti la realtà. Mi piace la tua scrittura diretta, rapida, senza fronzoli, senza giri di parole, densa di contenuti e di significati.

  4. Ciao Duska, sono il ragazzo che ieri ti ha salutato dopo il concerto a Udine…sono rimasto molto colpito dalla profondità delle tue poesie, nonchè dalla perfetta dizione e dalla espressività della tua recitazione…ho appena ordinato il tuo libro, non vedo l’ora che arrivi!
    Mi piacerebbe rivederti…
    “Voliamo. Strisciamo. Passiamo inosservati. Facciamo chiasso. Lasciamo tracce e le cancelliamo. Bianchi. Neri. Gialli. Rossi. Passeggeri dello stesso treno. Degli stessi treni. Ci incontreremo. Prima o poi. Tutti. In stazione. Nella vita. Nel pensiero. Nella parola di qualcuno. Per qualcuno. Da qualcuno. Forse è dovuto almeno tentare di volare.”
    …ci incontreremo….prima o poi……….
    duccion@hotmail.com

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