4. Espressioni

Storia di un cane, un poeta e una farfallina blu

Qualche anno fa, la compagnia petrolifera Chevron (ex Standard Oil of California) decise di investire  in una campagna pubblicitaria tendente a  rimarcare la sua incrollabile vocazione ambientalista. La campagna era incentrata sulla salvezza di una rara specie di  farfalla che, a sua insaputa, correva il rischio di estinzione. La Chevron era stata di recente accusata di aver provocato una delle peggiori catastrofi ambientali nella sua raffineria di El Segundo, contaminando l’acqua, l’aria e la terra dell’intera California, oltre a una serie di quisquilie internazionali che la vedevano coimputata  (insieme alla Royal Ducht/Shell Group e altre consanguinee)   di finanziamento di  guerra civile, traffico d’armi, distruzione dei mezzi di sussistenza della popolazione residente nei distretti petroliferi, collaborazione con un regime militare, ecc. ecc.

L’investimento per la salvezza della farfallina blu significò alla compagnia lo sborso di 19.000 dollari l’anno. Più tre milioni che si portò via la campagna pubblicitaria per fare conoscere il fatto alla popolazione, e raccontare a tutti dei sani principi albergati sotto quelle dure corazze imprenditoriali. Una costosa lavata di faccia, che avrebbe portato ulteriori guadagni, essendo come siamo così inclini a credere nella redenzione altrui.

Pressappoco nello stesso periodo,  un’enorme carovana s’era messa in marcia, nella provincia di Sucumbios, nel nordovest dell’ Ecuador. Indigeni, contadini, pescatori, perfino un gruppo di immigrati italiani, disposti a denunciare la costruzione di un oleodotto che sta distruggendo in modo permanente l’ambiente in cui  vivono.Volevano anche denunciare le innumerevoli aggressioni subite da parte di un esercito privato arruolato dal OCP – il consorzio transnazionale conformato dalle compagnie  Agip Oil (Gruppo Eni, Italia), Alberta Energy (Canadá), Repsol (YPF – Spagna), Kerr McGee y Occidental Petroleum (Stati Uniti) e Techint (Argentina) – una milizia di mercenari col compito di troncare sul nascere la minima forma di dissenso.      Più di venti associazioni non governative si aggiunsero a quella  marcia della coscienza civile, contro la barbarie del profitto indiscriminato.

L’Eni cercò di tirarsi fuori dalle contestazioni facendo riferimento a un accordo firmato, nel marzo 2001, con i capi dell’etnia  huaorani, i quali, a dire della Compagnia, avevano dato il loro consenso alla costruzione dell’oleodotto e alla estrazione di crudo nella provincia orientale di Pastaza.                                                         Il Gruppo aveva elargito, in cambio, 50 chili di riso e  50 di zucchero, 2 barili di grasso, una (1)  sacca di sale, 1 fischietto da arbitro, 2 palloni, 15 piatti, 15 tazze, e una (1) valigetta di medicinali per un controvalore di 200 euro, a ciascuna delle 6  comunità.                                                                                                                              In virtù dell’accordo, gli indigeni “si assumono ogni responsabilità” per le omissione nelle clausole dell’accordo, per gli incidenti che potrebbero verificarsi, per i danni contro terzi, per l’“incidenza” sull’ambiente… e la Compagnia viene esentata di qualsiasi responsabilità in merito alle attività oggetto di questo accordo”.

In Italia, l’Eni ha coniato lo slogan: Cultura dell’energia, energia della Cultura.                                                  Nel 2011 ha realizzato un fatturato di 108,1 miliardi con un utile di 6,7 miliardi di euro netti. Alla mancanza di farfalline blu sopperisce con la sponsorizzazione di eventi culturali di una certa rilevanza, legassi Musei aperti la scorsa estate a Milano, e la prossima visita di Amore e Psiche, del Canova, proveniente dal Louvre, a Palazzo Reale.   Una mostra gratuita offerta dalla Compagnia con i suoi migliori auguri.

Nessuno ha la premura di informarci però (dovrebbe essere obbligatorio, come le controindicazioni nei medicinali), che c’è sempre il risvolto della medaglia.

Che di recente l’Eni ha accettato di pagare 240 milioni di euro al Dipartimento di Giustizia americano e 125 milioni alla SEC (Securities and Exchange Commission, la Consob americana) per uscire da un procedimento che la vede responsabile di Corruzione per avere pagato tangenti a politici e funzionari nigeriani per costruire impianti di liquefazione del gas a Bonny Island, nel Sud della Nigeria.

Che è stata condannata nel novembre del 2005 dall’alta Corte Federale della Nigeria per la pratica del GAS FLARING, cioè la tecnica usata per bruciare i gas che fuoriescono ad alta pressione dalla trivellazioni, la quale è vietata perché immette nell’aria ingenti quantità di composti tossici. Le popolazioni locali lamentano che le piogge corrodono i tetti delle case, che i raccolti vengono danneggiati, che sono aumentati in modo esponenziale i tumori e le malattie respiratorie.

Che l’ENI è tra le aziende coinvolte nel processo per avere generato l’INQUINAMENTO che devasta la zona di Macchiareddu (Porto Torres), dovuto allo smaltimento illegale di rifiuti tossici.

Che oltre ai misfatti in America Latina e in Nigeria, è stata denunciata in Angola, nella Repubblica Democratica del Congo, in Sudan, in Azerbaijian, in Turchia, in Somalia,  per delitti quali finanziamento di guerre civili e traffico d’armi, danni ambientali nei distretti petroliferi, creazione di eserciti privati, cooperazione con regimi militari…

Che l’esperienza dovrebbe insegnarci qualcosa che i nostri nonni avevano molto chiaro, cioè che nessuno dà niente in cambio di niente (soprattutto quando si tratta di una multinazionale del petrolio).

Che di solito chi spende ingenti  risorse economiche per rendere brillante la propria immagine, è perché ha molte ombre da nascondere.

Babbo Natale arriva a Milano, portato dall’Eni, e tra i suoi doni porta due “Amore e Psiche” a Palazzo Marino, proclamava giorni fa,  entusiasta, un giornaletto cittadino.

Ecco il senso della Cultura in una società allenata da secoli a turarsi il naso, considerandolo un vezzo di civiltà, di “intelligenza”  evolutiva. Una società che, come sostiene Galeano, continua a confondere il tempo con gli orologi e la natura con le cartoline.

 A proposito di ENI, diceva il poeta Ken Saro-Wiwa: “anche l’italiana Agip-Eni è collusa con il regime militare nigeriano, anche se con un potere ben minore della Shell. Fra l’altro vale ricordare che nel 1987-88 sono state scaricate illegalmente in Nigeria 3800 tonnellate di rifiuti tossici italiani. E probabilmente questo non è l’unico episodio ma il SOLO a noi noto. Di tutto questo i grandi media italiani non parlano”.                          Forse per questo la dittatura del suo Paese lo condannò a morte tramite l’ impiccagione, qualche settimana più tardi.

La mia speranza, diceva, è che altri raccolgano questa parola, questa memoria a me strappata con la forca, e la facciano propria. Ciascuno nella misura delle sue forze.                                                                                    In questo stiamo.

Milton Fernàndez – fernandezmilton@libero.it

Per altre informazioni:

Time for transparency – Rapporto dell’organizzazione Global Witness sul petrolio e la corruzione in Africa.

http://bolsonweb.com.ar/diariobolson/detalle.php?id_noticia=26166

www.globalwitness.org

www.bakuceyhan.org.uk

www.business-humanrights.org

www.azionecologica.org

http://www.amnesty.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/2352

I crimini delle multinazionali – Klaus Werner/ Hans Weiss – (Newton Compton, 2010)

Sulla nostra pelle – Noam Chomsky (Tropea Editore)

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