5. Letture d'altrove

“Il Gioco dell’oblio” un romanzo per il quale vale la pena imparare l’arabo.

mohammad barrada

Martedì 19 Febbraio 2013, ore 17. 54, solo ora comincio a scrivere ciò che dovreste leggere domattina, sono in ritardo! ma me la prendo con calma. Ogni tanto getto uno sguardo su Facebook, controllo l’email, mi rollo una sigaretta, insomma perdo tempo, solo così riesco a cacciare via l’ansia che mi sta assalendo. Sulla scrivania ho due copie dello stesso libro, l’originale in arabo e la traduzione in italiano, e il pensiero che percorre la mia testa è questo : “Non c’è vicenda più ardua che scrivere di un romanzo al quale si deve molto”. Complotto contro me stesso, mi voglio mutilare di quell’autostima e fiducia necessarie per scrivere qualcosa di buono, ma vado avanti. Mi sfiora il dubbio che questa introduzione serva solo a prendere altro tempo, a divagare. Ma no, è buono questo esordio, teniamolo. Sono confuso! Mi sono perfino scordato di cosa volevo parlare! Ah già, de “Il Gioco dell’oblio”. Mi è riuscita la battuta?

Mi compongo sulla sedia e mi dico: “Ora facciamo sul serio!”

La copia in arabo è usurata, me la trascino dietro dal 94, quella che ho è la prima edizione uscita nel 1987, alcune pagine sono strappate, ma ho rimediato facendo delle fotocopie da un’altra edizione più recente, invece la copia italiana, edita dalla casa editrice Mesogea, è in ottimo stato. Per me questo è un libro intimo e così vi faccio entrare nella mia intimità mentre provo a recensirlo.

Devo al “gioco dell’oblio” dell’autore, saggista e traduttore marocchino Mohammad Barrada* moltissimo.

La prima cosa che ho imparato da questo libro è una domanda, che si può e si deve fare: “ Sei felice?”  è il protagonista Hadi a chiederlo alla sorella Najiyya. Non si tratta ovviamente di una domanda di circostanza, bensì di un interrogativo esistenziale. Siete felici?

Torniamo all’inizio, anzi agli inizi. Mohammad Berrada “istituzionalizza” per la prima volta in un romanzo marocchino ciò che si chiama l’autobiografia del testo, cioè come nasce uno scritto nelle bozze dell’autore. Infatti, in uno spirito di condivisione totale, Barrada ci rivela come ha iniziato la sua narrazione prima di approdare all’inizio definitivo. Sono due incipit, poi lo scrittore/narratore ci svela : [L’incipit è diventato così: “Sarebbe soltanto un vicolo se non fosse una via assai frequentata…”]

Il vicolo si trova a Fès, ed è da lì che comincia il racconto. Lo scenario dei primi capitoli  è quello del Marocco degli anni 40, e il cuore della narrazione batte all’interno di una grande casa tradizionale in stile andaluso, dove molte famiglie condividono vita, morte e miracoli. La si può chiamare una famiglia patriarcale, ma l’autore toglie ogni dubbio dall’inizio “ La cosa più importante della casa è la madre. Nessuno la chiama così. Tuttavia lei riempie ogni angolo, polarizza ogni conversazione e la sua voce, in risposta alle interlocutrici, risuona dal pianoterra al piano alto, fino alla saqlabiyya”

In questo romanzo polifonico tutti hanno una voce, tutti sono chiamati a testimoniare, ed è più che un gioco dell’oblio è un procedere con il metodo socratico della Maieutica, con cui si incita al ricordo, si feconda la memoria e si fa partorire la narrazione. Mohammad Barrada allestisce una specie di giostra narrativa in cui narratori e narrati si alternano nello sviluppare le vicende del narrato.

A sfilare è la storia del Marocco, dalla colonizzazione francese all’indipendenza e dai tentativi della costruzione dello stato moderno alle grandi delusioni e fallimenti di un paese e di suoi uomini e donne che spesso hanno perso l’occasione per una riscossa politica, culturale ed economica.

Questa storia viene indagata attraverso lo sguardo intimistico portato su tre generazioni della stessa famiglia: La prima generazione (Sid Tayeb, Lalla Ghalia), la generazione di mezzo (Hadi e Tayi’) e la terza generazione (Aziz, Fattah, Driss, Nadya).

Il mondo ovattato di Sid Tayyeb e Lalla Ghalia fatto di una struttura familiare, sociale ed economica tradizionale e tradizionalista che comunque riusciva ad includere tutti, cede il passo a quella generazione di mezzo dei fratelli Hadi e Tayi’ che si trovano a vivere a cavallo fra il periodo della lotta al colonialismo e la costruzione dello Stato marocchino indipendente, un periodo in cui la vita pubblica vacilla fra l’entusiasmo dell’indipendenza e il fallimento dei tentativi di edificazione di una società equa e democratica, ed è in questo scenario desolante fatto di opportunismo, di finta modernità e di falsa democrazia che la terza generazione muoverà i suoi passi.

Mohammad Barrada nell’intenzione, ben riuscita, di aprire il romanzo a tanti scenari affida le fila del racconto a narratori interni ed esterni, stabilendo una gerarchia a volte conflittuale fra gli uni e gli altri.

Il narratore protagonista Hadi, intellettuale di sinistra, liberale e libertino, avrà il compito più arduo di raccontarsi e incitare gli altri al racconto, dal fratello Tayi’, il suo alter ego, conservatore e religioso, al cognato  berbero Haj Ibrahim, lavoratore onesto e caparbio, alla sorella Najiyya, ereditaria della tenerezza di Lalla Ghalia, sorella e madre anche essa che continua a fornire quel rifugio femminile verso il quale tutti corrono quando tutto sembra crollare, ai giovani della famiglia: Aziz; Fettah e Nadya, quelli che avranno il compito di giudicare i padri e gli zii. Tutti diranno la loro, manovrati e manovratori di un destino personale e collettivo.

Per tecniche e tematiche “Il Gioco dell’oblio” è un romanzo introspettivo che tuttavia si apre all’esterno, come se Barrada in una prospettiva quasi psico-antropologica ci tenesse a sottolineare che la vita psichica degli individui, le relazioni che intrattengono con loro stessi e con i loro cari, non potrebbero essere capite se non all’interno di una struttura più generica in cui il privato si mischia al pubblico.

Ed è qui che l’innovazione narrativa che Barrada apporta al romanzo marocchino trova la sua importanza, la tecnica di introdurre narratori dichiaratamente esterni alla storia, super partes rispetto ai protagonisti e addirittura  allo scrittore stesso (un articolo di giornale è una narrazione esterna, metatesttuale) effettuano una contestualizzazione più ampia di cui i narrati non possono essere a conoscenza e perciò crea una ricchezza ulteriore.

Un’altra innovazione linguistica che Barrada introduce, e di cui la traduzione italiana non ha tenuto purtroppo conto, consiste nello scrivere interi passaggi del romanzo in dialetto Marocchino. Quando Lhajj Ibrahim, Lalla Ghalia, Najiyya, Sid Tayyeb e tutti gli altri personaggi analfabeti raccontano, lo fanno in Marocchino. Si può parlare proprio di realismo narrativo e linguistico che crea un’adesione perfetta fra i personaggi, quello che sono e l’ambiente in cui si muovono.

C’è molto ne “il Gioco dell’oblio”: denuncia politica, storia, tradizioni, antropologia, erotismo, frustrazioni, delusioni, amori finti e passioni veri, vita vissuta e vita narrata.

C’è coraggio, sperimentazione e maestria, che l’autore marocchino tornerà a commettere in altri romanzi ancora orfani di una traduzione italiana.

Confesso, tanto tempo fa quando mi sono venuti a mancare alcuni affetti ho pianto a queste parole: “ Le cose durature finiscono sempre per generare rapporti di questo tipo: Ci si abitua ad averle e non si bada più. O quasi. Ci facciamo affidamento, le diamo per scontate e così ci dispensiamo, in parte, dal confrontarci apertamente con la vita e con i rapporti umani in tutte le loro sfumature. Ogni rapporto richiede sforzo, presenza, coinvolgimento mentale ed emotivo. Ci arrabattiamo, frenetici e stressati, per poi scoprire che ogni mattina si deve ricominciare da capo. E allora ci aggrappiamo agli elementi di “durevolezza e continuità” della nostra vita ed evitiamo di compiere gli sforzi necessari per mantenere viva la fiamma della comunicazione. Eppure, spesso, sulla scia di un’ incomprensione e di uno scricchiolio nella quotidianità, ci risvegliamo bruscamente per accorgerci che anche il duraturo non c’è più”.

Queste parole lette in arabo hanno un altro sapore. Vi ho detto che è un romanzo intimo per me!

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* Mohammad Barrada: Scrittore, critico letterario e traduttore marocchino nato a Rabat nel 1938, ex presidente dell’unione degli scrittori marocchini, uno dei primi animatori del movimento letterario Al Tajrib (Sperimentazione). Oltre al Gioco dell’oblio, in italiano gli è stato tradotto il romanzo autobiografico: Come un’estate che non tornerà (edizione Lavoro).

Mohammad Barrada

il gioco dell'oblio

Il Gioco dell’oblio لعبة النسيان

Traduzione: Ramona Ciucani

Edizione Mesogia, 2009 (€ 23,50)

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