2. Memorando

Il sogno euro-ucraino IV: la notte del ventesimo giorno

La notte del ventesimo giorno

Di Marina Sorina.

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Foto (c) Svetlana Ivanova

La notte del ventesimo giorno di proteste i reparti speciali hanno cercato di eseguire l’ordine di sgomberare la piazza e ripristinare il traffico sulla Khreschatik. I manifestanti che pernottavano in piazza hanno opposto resistenza. Ero a casa mia, a Verona, ma non riuscivo a dormire. Continuavo a guardare in streaming le nere divise e gli scudi alzati della formazione classica a tartaruga, di romana memoria. Spingevano, ma la gente non cedeva. Si muovevano freneticamente solo i puntini arancioni dei gilet segnaletici della stampa. La scena rimanente era composta da masse scure, quasi immobili, che oscillavano sullo schermo.

C’erano quindici gradi sotto zero, la carica è iniziata all’una e quaranta, nella miglior tradizione degli arresti staliniani che avvenivano sempre di notte, nelle ore in cui le persone si riposano e sono meno propense a opporre resistenza. Non era il caso in Piazza Indipendenza. I manifestanti erano solo in sette mila, ma erano pronti. Le donne e i bambini sono stati portati sul palco, dove di giorno si tengono i concerti, mentre gli uomini intrecciavano le braccia per formare il cordone. Fra loro c’erano i deputati del parlamento e i preti.

Le forze d’ordine avevano una strategia precisa. Avevano dalla loro la maggioranza numerica. Il selciato era gelato e scivoloso, un vantaggio per loro, addestrati e muniti di tutte le attrezzature d’assalto. Si sono dati da fare spingendo e menando la gente con i bastoni di plastica. Stavano accerchiando la Casa del Sindacato da due lati. Poi è successo l’imprevisto: uno dei due gruppi che doveva portare avanti l’accerchiamento si è rifiutato di agire. Alcuni militari, di loro sponte, hanno gettato i caschi e se ne sono andati. I responsabili hanno dovuto sostituire i soldati mancanti, perdendo tempo prezioso. Il cerchio interno si era rivelato più forte del previsto ed è riuscito se non a respingere, almeno di non lasciarsi schiacciare. La gente di Kiev – nonostante la notte fonda e il gelo – continuava ad accorrere. Nelle chiese – nonostante non fosse l’ora consueta – suonavano le campane. Così si è arrivati all’alba, e le persone in piazza erano 15.000.

Inevitabili decine di gambe e costole spezzate, traumi cranici, piedi assiderati. Un giovane con la spina dorsale frantumata. Una decina di fermi. Ci sono vittime fra i manifestanti e i poliziotti. L’istinto animalesco di scappare dalla fonte del pericolo qui non funziona. Verso l’alba le persone in piazza sono circa 15.000. Le autorità spiegano: “Abbiamo fatto tutto questo solo per liberare il viale e ripristinare la circolazione delle auto”. Stranamente, subito dopo loro stessi bloccano il passaggio con degli autobus. Alle otto di mattina cercano di entrare nell’edificio occupato del Municipio, pochi metri più in là sulla stressa via. Un reparto di Berkut si ferma all’ingresso, mette un bus di traverso vicino alla porta. Gli uomini in nero stanno cercando di sfondare le porte bloccate, spinti alle spalle dai manifestanti. Dai piani alti scende su di loro un getto d’acqua e dopo pochi minuti desistono, rientrando nel loro bus. Per coprire la ritirata, piovono le manganellate sul popolo, e in cambio volano i caschi arancioni.

Verso mezzogiorno la piazza ritorna nelle mani della protesta. Si rifanno le barricate, si riprende dal punto di partenza. Il governo dichiara di non aver usato nessuna forza, solo una questione di ordine pubblico. Dicono menzogne talmente evidenti da dubitare davvero delle loro capacità mentali. Si dimenticano che tutti gli emissari europei e statunitensi sono ancora a Kiev, anche loro testimoni oculari degli eventi. Con che coraggio li affronteranno i politici ucraini durante la tavola rotonda organizzata per trovare un compromesso? A questa trattativa sono invitati anche i rappresentanti dell’opposizione, come fosse sufficiente per far vedere al mondo che il dialogo c’è. I potenti non capiscono una cosa semplice: deve decidere il popolo, non loro.

La decima notte della protesta, a cavallo fra il trenta novembre e il primo di dicembre, manifestavano gli studenti. Sono stati menati e la mattina dopo la piazza era gremita di gente. Ora il governo ha fatto la stessa mossa. Non ha imparato la lezione e non ha capito che più ci sarà la violenza da parte loro, più persone pacifiche usciranno dai loro gusci per manifestare. Quando verrà reso noto il numero delle vittime della ventesima notte, quanto gente scenderà in piazza?

11 dicembre 2013

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