1. Le parole sono importanti!

jus soli, jus sanguinis ed altri bizantinismi

Continuare a negare la cittadinanza ai figli di stranieri nati e cresciuti in Italia è una cosa senza senso, checchè ne dicano Sartori e Grillo.

La questione però è succulenta ed è discussa in tutte le sedi istituzionali e quelle dei partiti; e come sempre avviene in questi casi è celebrata anche su tutti i media, nessuno escluso. Con il solito Vespa impegnato in prima linea, coadiuvato da altri due o tre sacerdoti da prima serata.

Da buon seguace di queste tematiche ho cercato di non perdermi nessuna di queste messe. Ci ho messo tutta la buona volontà ma non c’ho capito granché. Per tutte queste celebrazioni infatti è stato adottato il rito tridentino, con il latino a farla da padrone.

È chiaro: non vi è nessuna volontà di stare ai passi coi tempi, anzi questo ritorno al latino è palese sintomo di regressione, con buona pace di Papa Paolo VI e di tutte le sue velleità di modernismo.

Tuttavia qualche spiraglio di ottimismo c’è. In questa disputa arcaica portata avanti solo da latinisti puri, che vede da una parte i sostenitori dello jus sanguinis e dall’altra i tifosi dello jus soli, qualcuno comincia a non disdegnare l’italiano e si propone con un meno bellico “jus soli temperato”.

Urge però fare di più e di meglio. Per ora, fra latinismi variamente declinati, e al netto dei bizantinismi, la cittadinanza per i migranti di seconda generazione rimane poco più che un miraggio.

Fonte: vivere italia

1 thoughts on “jus soli, jus sanguinis ed altri bizantinismi

  1. Parlare di “migranti di seconda generazione” è un regalo ai vari Sartori di turno. Chi nasce in italia non ha compiuto alcuna “migrazione” (di metempiscosi ho parlato qui: https://collettivoalma.wordpress.com/2012/01/26/dopo-grillo-sartori-e-la-soluzione-finale/), se non quella dalla pancia di sua madre al lettino dell’ospedale!
    Chi è arrivato qui in età infantile non ha scelto di emigrare, è stato trasportato, come si trasporta una valigia. Io sono stato portato in Italia quando avevo sette anni, non ho scelto io di venirci. Questo non perché voglia accusare qualcun’altro o recriminare contro i miei genitori, ma soltanto che non accetto di essere chiamato “immigrato” (tenuto conto di cosa si voglia dire, oggi, in Italia, con questa parola).

    “Siamo tutti migranti” possiamo dircelo tra di noi, noi che queste cose le abbiamo digerite dopo tanti maldipancia adolescenziali e riflessioni filosofiche. Ma se parliamo con persone educate a vedere differenze dappertutto sarebbe opportuno mettere a fuoco le differenze reali e non quelle indotte e percepite.
    Io sono diverso dai miei genitori, nessuno lo può negare. Ho frequentato tutte le scuole in Italia, fino all’università. La lingua del paese in cui sono nato la parlo poco e non sò neanche scriverla. Cosa mi rende invece diverso da un ragazzo nato in Italia da genitori italiani?
    E’ il buon senso che ci dà ragione, ma il buon senso deve essere liberato dalla montagna di falsità (e false differenze) che vorrebbe seppelirlo.

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