Visioni del Maghreb

“Visioni del Maghreb” : l’Algeria allo specchio della pittura orientalista di Etienne Dinet

Etienne Dinet, Sous les lauriers roses

Etienne Dinet, Sous les lauriers roses

    Di Sara Alianelli

Il fatto : Nel giugno scorso una polemica si è accesa su alcuni giornali algerini riguardo all’inattesa vendita all’asta, alla Maison Christie’s di Parigi, della collezione privata di un uomo d’affari algerino che comprendeva diversi quadri del pittore orientalista Alphonse Etienne Dinet. Lo scandalo consisterebbe nell’aver venduto all’estero delle opere d’arte considerate appartenenti al patrimonio culturale nazionale. Ma dalle pagine di “El Watan”, la “donna in collera” Wassyla Tamzali, liquida le discussioni affermando che Dinet e le sue “scene indigene” sono al cuore di un traffico in cui si mischiano denaro, potere e rappresentazione di classe. Ciò che è stato messo in vendita, secondo la scrittrice, non è il patrimonio algerino ma “le ambizioni abortite di una classe politica che vuole infilarsi gli abiti del colonialismo”  (1).

La questione pone diversi interrogativi se si pensa che, la pittura orientalista, tramontata in Occidente nel ventesimo secolo, con il passare di moda di certe tendenze pittoriche accademiche ma anche in seguito alla fine degli imperi coloniali, dei quali quest’arte fu considerata espressione, conosce un rinnovato successo presso una nuova clientela dei paesi arabi, e specialmente presso l’intelligentzia araba dei paesi del Golfo.

Étienne Dinet occupa un ruolo di spicco in questo revival perché, secondo alcuni, rappresenta l’identità socioculturale di questi paesi, un aspetto del mondo arabo-musulmano che egli, a differenza degli altri pittori orientalisti, ha vissuto dall’interno e in modo autentico. Così il prezzo delle sue opere esplode nelle vendite pubbliche, stimato in vari milioni di euro ( 2).

        L’antefatto : Personaggio controverso, di cui si hanno pochi documenti biografici, Etienne Dinet  nacque nel 1861 a Parigi, da una famiglia di giuristi di religione cattolica. Abbracciò con successo la carriera artistica, frequentando gli ambienti accademici come l’École des beaux arts di Parigi e l’Accademia Julien (3). Nel 1883, grazie ad una borsa di studio, partì per la prima volta nel Sahara algerino, dove fece ritorno l’anno successivo, dopo aver ricevuto vari premi nei salons parigini. Egli viaggiò allora fino a Ouargla e Laghouat e scoprì il Sud  algerino, che lo impressionò a tal punto da segnare una svolta decisiva nella vita e nell’opera del pittore. A questo periodo, in seguito al quale Dinet si installerà gran parte del tempo in Algeria, risalgono i suoi primi dipinti algerini come Les terrasses de Laghouat : lavoro quasi scientifico sulla luce, riflessi del sole sul suolo, paesaggi lontani  delle oasi sahariane.

Etienne Dinet e il suo amico Silimane

Etienne Dinet e il suo amico Silimane

Soggiornò a Biskra e vi fondò un atelier, ma  la sua seconda patria fu la regione di Bou Saâda, dove egli dimorò in maniera stabile dal 1905, e dove si legò di una stretta amicizia con un giovane erudita mozabita, Slimane Ben Brahim Baamaer, che divenne uno stretto collaboratore in tutta la sua attività artistica e spirituale. Attraverso la mediazione di quest’ultimo Dinet poté conoscere la società algerina, viaggiare nel deserto, penetrare nella quotidianità della vita beduina.

La  passione per  questa terra e per il popolo algerino diede vita alle sue opere più importanti,  che sono rappresentazioni dettagliate della vita sahariana : giochi di bambini, ritratti di adolescenti, nudi di bagnanti, la grazia delle danzatrici, la sensualità delle donne della tribù degli Ouled Naïl, nei loro costumi suntuosi dai colori cangianti. Ma anche volti marcati di uomini e di anziani, cortei festivi, momenti dei rituali religiosi e di preghiera, da cui traspare il coinvolgimento spirituale dell’autore (4). La caratteristica dei suoi quadri è il gioco dei colori e la luce intensa che mette in risalto le espressioni dei soggetti, modalità attraverso cui il pittore si prefiggeva di carpire l’anima del popolo, verso  il quale Dinet sentiva di avere un ruolo: “Da quarant’anni ho salvato le cose che la civilizzazione ha distrutto, poco a poco  implacabilmente…Io ero il solo, credo, a poterlo fare prima della completa sparizione”.

Le Village

Le Village

Anche se la tecnica impressionista dona alle sue opere un effetto di realismo quasi fotografico, le scene rimandano ad una dimensione trasognata, dalla tela emergono gli sguardi dei personaggi che ispirano curiosità o emozioni compassionevoli, e che ci fissano, come nelle istantanee, da un passato idealizzato e stereotipato. I soggetti di Dinet sono dei ritratti, degli aneddoti e delle scene “tipiche” che la fotografia dell’epoca riprende dal mondo indigeno e che riempivano le cartoline postali : notabili locali che posavano con la famiglia, mendicanti che accettavano, per pochi soldi, di essere ritratti e di riprodurre le scene che venivano loro esplicitamente richieste per l’occasione, prostitute che inscenavano danze orientali nei sinistri kahwat ezahou (caffé della gioia), di cui era  piena Bou Saâda, a quel tempo luogo di guarnigioni, di commercio e di turismo. Con un particolare : i famosi ritratti delle donne Ouled Naïl, che all’epoca di Dinet vivevano in condizioni di miseria e che spesso si prostituivano, sono invece trasposte, nei quadri del pittore, al tempo passato del loro splendore, fuori da ogni contesto storico (5). Una delle principali caratteristiche della tradizione orientalista è infatti quella di riprodurre una società indigena ferma ad una mitica “età dell’oro”, purificata da ogni contaminazione esterna, dove la colonizzazione non ha mai avuto luogo. Se la rappresentazione è sempre una distorsione della realtà, l’estetica tradizionale di Dinet, in cui tutti sono giovai e belli, persino i vecchi, sembra essere molto lontana da qualsiasi autenticità, tanto più che tutto un mondo è escluso dalle sue tele : non ci sono berberi, né coloni, né ebrei (numerosi all’epoca a Bou Saâda).

Hommes en prière

Hommes en prière

La riabilitazione del personaggio Dinet tende ad esagerare il carattere politico delle sue opere,  mentre bisogna dire che quasi inesistenti sono le scene di ribellione o di conflitto che mostrano la  reale condizione degli indigeni. Gli unici quadri che vengono citati in tal senso,

L’ indigénat e La cueillette des abricots, sono scene dal significato affatto evidente, in cui la voluta drammaticità sfuma, specie nel secondo, nel patetico. I rapporti dell’artista con l’autorità coloniale furono spesso tesi. Per l’amministrazione locale, un intellettuale che viveva e che fraternizzava con la popolazione indigena, che parlava  la sua lingua, era sempre fonte di sospetto e di preoccupazione. Egli denunciava le situazioni a cui lo Stato coloniale costringeva gli algerini, aiutò le élites algerine a combattere il codice dell’indigenato. Più volte si rivolse al Governo generale contro i metodi dell’amministrazione militare. Durante la prima guerra mondiale intervenne sulla questione del trattamento riservato ai soldati musulmani, ottenendo, grazie alla sua influenza presso alcune autorità, il rimpatrio dei feriti in Algeria, e si occupò delle procedure e dei rituali di sepoltura dei caduti. É in questo periodo che si espresse   con più forza contro “l’ignomìnia coloniale”, considerazione dettata dal fallimento delle  idee riformiste in ambito politico, in particolare a causa del mancato riconoscimento di una rappresentanza nazionale e dei diritti politici ad una minoranza di musulmani algerini.  I suoi testi più virulenti contro il sistema coloniale vanno tuttavia contestualizzati : il progetto politico di Dinet consisteva nell’unione franco-musulmana e nell’uguaglianza di coloni e colonizzati nel quadro dell’impero, al fine di evitare il separatismo anti-colonialista e il trionfo del comunismo nelle colonie. Con il venir meno delle sue speranze politiche Dinet continuò la sua militanza in altri ambiti : promosse la costruzione della Grande Moschea di Parigi, inaugurata nel 1926.

Terasse de Bou Saada

Terasse de Bou Saada

Nel 1913 l’artista si era convertito all’Islam, prendendo  il nome di Nasreddine, e la sua esperienza religiosa e dottrinale gli consentì di pubblicare alcune opere politiche e religiose, tutte scritte e firmate assieme al suo amico Slimane Ben Brahim. Gli autori avevano in precedenza pubblicato delle raccolte di poesie e leggende sahariane riportate da Slimane e disegnate da  Dinet. La vie de Mohammed (1918) e L’Orient vu par l’Occident (1921) invece, sferrano una polemica contro alcuni studiosi orientalisti, accusati di avere introdotto delle innovazioni nella storia della vita del profeta dando adito a interpretazioni fallaci dell’Islam, a causa dell’ignoranza dei modi di vita arabi e  di un sentimento di “islamofobia”, di cui sono accusati anche diversi attori politici.

Jeu d'enfants dans la palmeraie

Jeu d’enfants dans la palmeraie

Il coronamento del percorso spirituale di Nasreddine Dinet si ebbe nel 1929 con il pellegrinaggio alla Mecca, assieme all’inseparabile Brahim, ultimo episodio significativo per il pittore che si spegnerà a Parigi pochi mesi dopo, e il cui rito funebre si tenne alla moschea di Parigi prima che le sue spoglie fossero trasferite a Bou Saâda, dove fu sepolto nella qubba che si era fatto costruire.

Alla sua conversione  è stato spesso attribuita l’ostilità crescente in Francia verso le sue opere. In realtà Dinet non ruppe mai i legami con la madrepatria dove i suoi quadri ebbero sempre un notevole successo, anche dopo la sua conversione. Egli fu premiato nei grandi musei e nei saloni parigini, fu uno dei fondatori della Società dei pittori orientalisti, inviava le sue tele alle esposizioni universali e coloniali, ricevendo elogi e apprezzamenti. Fu titolare della Legion d’onore e promosso ufficiale. Fu presidente della giuria del Gran premio d’Algeria fino alla sua morte, essendo la sua arte particolarmente apprezzata tra i francesi d’Algeria, ai quali tuttavia egli rifiutava di vendere direttamente le sue tele.

Raoucha

Raoucha

Con l’emergere delle avanguardie artistiche, in particolare dell’arte astratta, l’orientalismo, marcato dall’accademismo, diventò presto obsoleto, così come le tecniche convenzionali di Dinet.

Il pensiero moderno, mettendo in causa l’impresa coloniale, ha contestato  l’immagine e le idee da essa veicolati che contraddicevano la realtà complessa dell’Oriente: L’orientalismo è stato quindi accusato di ridurre tutto un popolo agli “indigeni” e la sua cultura a folklore.

La riflessione : Eppure negli anni Settanta, in piena costruzione dell’Algeria indipendente, in un clima di sospetto per tutto quello che poteva rappresentare il passato coloniale, un pittore francese qual’era Etienne Dinet, scomparso prima dell’inizio della guerra dell’indipendenza dell’Algeria, ma soprattutto la cui opera era da tempo dimenticata, fu dichiarato, dai ministri del governo e del ministero della cultura, “maestro della cultura algerina”, conquistando un posto d’onore nella cultura nazionale. Vari libri furono dedicati alle sue opere, le quali apparvero persino sui timbri postali, e dopo varie vicende un museo Dinet fu inaugurato nel 1992 a Bou Saâda.

Alcune ragioni di questa riabilitazione vanno individuate nel tentativo, politico ed ideologico, di costruire un’identità fondante per il nuovo Stato-nazione. I quadri di Dinet forniscono infatti l’immagine “epurata” di un’Algeria arabo-musulmana (e ciò spiega l’accento messo sulla  conversione del pittore) in cui la presenza francese è cancellata, e che il giovane governo algerino privilegiò al fine di fabbricare per le nuove generazioni una rappresentazione verosimile della società tradizionale algerina. Paradossalmente il gusto estetico della borghesia algerina, nel periodo dell’indipendenza e del socialismo, si legò quindi in qualche modo all’arte borghese e coloniale.

Allo stesso modo oggi, i paesi del Golfo, coscienti del fatto che la prosperità economica va di pari passo con la promozione dell’arte e della cultura, ma anche con una richiesta di identità socio-culturale, ricercano le opere orientaliste.

Lo sguardo dell’altro– dice François Pouillon nel suo libro su Dinet- è divenuto un altro se stesso, e gli somiglia come un fratello. (7)

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-1:   El Watan, 28 giugno 2003, Sur le mur de Wassyla Tamzali

-2  Sul fenomeno di riabilitazione delle opere di Dinet : Naïma Rachdi, Etienne Dinet ou le regain de la peinture orientaliste, Ed. Chevrefeuille etoilée, 2012

– 3 La maggior parte della biografia di Etienne Dinet si basa sulla testimonianza della sorella : Jeanne Dinet Rollince, La Vie de E. Dinet, GP. Maisonneuve, 1938

-4  Per una raccolta delle opere di E. Dinet : Denise Brahimi, Koudir Benchikou, Les Orientalistes, volume 2 : Étienne Dinet, ACR Edizioni, 1998

– 5  Anche in connessione con le opere di E.Dinet, sul mito delle donne Ouled Naïl e i rapporti tra prostituzione, colonialismo e società indigena : Barkahoum Ferhati, De la « tolérance » en Algérie (1830-1962). Enjeux en soubassements , Ed. Dar El Othmania, Algeri 2007

-7 : François Pouillon, Les Deux Vies d’Étienne Dinet, ed. Balland, 1997 .

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